"In Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo

per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carita'".

(EF.1,4)

"Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi,

dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo

poi vieni e seguimi"

(Mt.19,21)

 

Vita di consacrazione

La nostra consacrazione scaturisce dal desiderio di un’appartenenza totale a Dio che lo Spirito Santo genera in noi come risposta a quella chiamata che ha le sue radici nell’eterno progetto trinitario d’amore che ci ha donate a Cristo in maniera speciale, sponsale e totale.

ConsacrazioneCristo ci ama non solo nel momento in cui ci diamo a Lui, ma ci ha amate già prima che fossimo, poiché è con Lui e in ragione di Lui che siamo progettate. Cristo è la ragione della nostra vita, è il nostro fine ultimo. Il Padre ci ha create perché fossimo legate a Lui in maniera specialissima e in Lui raggiungere l'espansione massima della grazia del Battesimo. Per questo siamo state chiamate e consacrate per rendere presente nella Chiesa l'amore misericordioso del Padre che nel Battesimo ci fa suoi figli e in Gesù Cristo siamo innestate nella vita divina e riconciliate con Lui.

 

Così noi, accettiamo di vivere questo rapporto d’amore come mutua appartenenza dell’anima a Cristo, secondo l’espressione di S. Paolo: “Mihi vivere Christus est” soprattutto nella conformità a Cristo misericordia del Padre.

In questa mistica unione ci impegnamo ad attuare i consigli evangelici di castità, povertà e obbedienza mediante i voti per una vita completamente donata a Dio e al prossimo (P.C. 5,719).

La nostra vita di consacrazione, con la pratica dei consigli evangelici, testimonia ed anticipa la vita futura in Dio, è come la vita eterna già iniziata, è un preludio di quella che sarà la nostra condizione in Paradiso: “…saranno come angeli di Dio nel cielo” (Mt. 22,30).

Come Cristo “che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo”, a sua imitazione, noi consacrate, siamo impegnate al bene di tutta la Chiesa; come parte integrante del Corpo Mistico di Cristo Signore, siamo essenziali per Lui e complementari le une delle altre, collaboratrici e costruttrici del Regno di Dio, presenti nel mondo per fare Chiesa e per donare i nostri talenti al servizio degli altri (L.G. 44).

 

Quale speciale approfondimento del Battesimo, la nostra consacrazione porta con sè la "grazia" di una partecipazione più intensa al mistero pasquale. Legate intimamente al Signore, siamo chiamate a riprodurre in modo particolare nella nostra vita il mistero della Sua morte e risurrezione (V.C. Cap. I p. 23-24).

Partecipiamo alla croce di Cristo vivendo, come prova d'amore, le rinunce che la nostra consacrazione comporta e accogliendo, con fede e speranza, la nostra debolezza, le difficoltà e sofferenze di cui è intessuta la nostra realtà quotidiana.

 

Maria: modello di vita consacrata

Maria è per noi “esempio sublime di perfetta consacrazione” nella piena appartenenza e totale dedizione a Dio. Scelta dal Signore il quale ha

voluto compiere in lei il mistero dell'incarnazione, ci ricorda il “primato dell'iniziativa di Dio”; al tempo stesso, avendo dato il suo assenso alla divina Parola, che si è fatta carne in lei, Maria si pone a noi come “modello dell'accoglienza della grazia”. La Vergine è per noi maestra di sequela incondizionata e assiduo servizio poiché ha condiviso l'esistenza del “servo sofferente” da Betlemme fino alla morte di croce. Per noi Maria è “madre a titolo del tutto speciale” (V.C.1,28) perché Gesù, attraverso Giovanni, l'ha donata a tutti e in particolar modo a noi consacrate. Coltiviamo perciò un profondo rapporto filiale con Maria perché ci aiuti ad essere coerenti alla vocazione ricevuta, per progredire in essa e viverla in pienezza.

 

Alla sequela di Gesù

 

La Castità consacrata

"La donna vergine si preoccupa delle cose

del Signore, come possa piacere al Signore".

(1Cor.7,32)

 

Il consiglio evangelico di castità assunto per il Regno dei cieli, che è segno della vita futura e fonte di una più ricca fecondità a motivo dell’esclusivo amore, implica l’obbligo della perfetta continenza nel celibato.

(C.J.C. Can. 599)

 

La castità, abbracciata per il Regno dei Cieli, è un insigne dono della grazia: dono gratuito che Dio concede come e a chi vuole (P.C. 737p. 12). “Gesù rispose loro: Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso!” (Mt. 19,11).

E’ una risposta carismatica ai Cristo come Sposo esclusivo; è un’appartenenza a Cristo glorificato; è una fusione mistica di due esseri.

Il Signore Gesù è geloso del nostro amore, e non può accettare un cuore diviso Colui che, per noi, ha dato tutto.

Al dono da parte di Dio, corrisponde la risposta che deve impegnare tutta la nostra responsabilità, perché sia libera e volontaria: non si rinuncia all’amore, ma si sceglie l’Amore. Con la castità non scegliamo uno stato, ma scegliamo Qualcuno: Dio stesso.

Il Dio nostro unico amore, è il Dio di Gesù Cristo, che ci raggiunge attraverso il suo Spirito.

Amarlo “con tutto il cuore” significa camminare verso il Padre sulle orme del Figlio, nella forza e nella consolazione dello Spirito.

 

Mediante la potente azione dello Spirito Santo, la castità ci permette di vivere una particolare comunione con Cristo Gesù per avvicinarci maggiormente alla sua intimità col Padre; infatti il Padre è amato nel Figlio attraverso lo Spirito. Noi non ci siamo date a un Dio solitario, ma siamo entrate nel sublime gioco d’amore che lega la comunione trinitaria e per esso siamo chiamate a vivere, con esso siamo chiamate a soffrire e a gioire, in esso siamo chiamate a morire; da esso siamo attratte oltre i confini del

corpo e del tempo, del desiderio e dello spazio.

Noi che scegliamo Dio solo, vivremo nella solitudine popolata dal vortice d’amore del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo.

“Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv. 14,23).

 

Come perfetta vittoria sulla più potente forza vitale, la verginità ha un sublime valore escatologico, perché contiene il preannunzio della vittoria finale di Cristo, anticipando fin d’ora la condizione di risorti.

La verginità consacrata ci permette di allargare gli orizzonti della nostra carità e di diventare maggiormente capaci di amore universale, ci chiede di offrire il nostro cuore al fuoco dello Spirito, perché diventi capace di amare in Cristo tutti gli uomini.“…La donna non sposata, come la vergine, si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito” (I Cor. 7,34).

 

Come S. Francesco vogliamo amare la castità perché ci permette una maggiore disponibilità per la diffusione del Regno di Dio: “Siamo madri di Cristo quando lo portiamo nel cuore e nel nostro corpo con l’amore e con la pura e sincera coscienza e lo generiamo attraverso le sante opere che devono risplendere agli altri in esempio” (F.F. Lettere IX.200, 53).

La verginità, per l’immediatezza dell’amore e della fedeltà data a Gesù Cristo ha di per sé valore salvifico a livello della comunità dei santi, qualsiasi opera visibile realizzi, anche nell’apparente sterilità e secondo una misura che Dio solo conosce.

La nostra verginità consacrata non tradisce l’intima vocazione che è propria di ogni donna: quella di essere madre. Questa verginità consacrata ci rende madri sul piano della grazia, così da essere contemporaneamente figlie e madri della Chiesa, perché cooperiamo alla nascita e alla crescita di Cristo nella vita divina delle anime.

Prendiamo come modello Maria, dalla cui “verginità feconda” viene la salvezza per il mondo.

La volontà di salvezza di Dio trova spazio e libertà d’azione nella verginità di Maria, il cui significato più profondo è una totale disponibilità al piano di Dio e un grande atto di fede nella sua onnipotenza “che ha fatto in lei grandi cose”.

 

Noi non vogliamo, né possiamo amare il prossimo per noi stesse e neppure per se stesso; dobbiamo amarlo nella misura in cui ci conduce alla gloria di Dio.

L’amore verginale apre al vero affetto, al servizio disinteressato, alla comunione autentica,tra di noi, perché Dio stesso ci riunisce e ci affida altre sorelle, non da sopportare o da subire, ma da amare, accettare nella loro singolarità e da servire nel Suo nome. Questo clima di autentica fraternità costituisce la più sicura garanzia della castità (P.C. 12).

Per Francesco, l’uomo che vive con purezza di cuore e semplicità di mente, è colui che è distaccato da tutto perché tende solo a Dio (F.F. - Regole ed Esortazioni Cap. XVI, 165).

 

Per meglio custodire questo “grande tesoro che portiamo in vasi di creta” (II Cor. 4,7), ci impegnamo ad usare tutti i mezzi suggeriti dalla grazia e dalle proprie capacità umane: preghiera umile e fiduciosa, maturità affettiva, prudenza nelle amicizie e nelle relazioni, pratica frequente del sacramento della Riconciliazione e dell’Eucaristia, sincerità con il confessore, apertura e lealtà con la Responsabile della comunità.

Inoltre, per meglio custodire il dono della castità, è importante conoscere il valore del proprio corpo e il suo significato dal punto di vista fisico, fisiologico e spirituale e avere un grande rispetto di ciò che è opera del Signore; esercitarsi nel controllo di sé e dei propri affetti, evitando quei mezzi che possono mettere in pericolo la realizzazione piena di tutto il nostro essere, in modo particolare oggi dei mezzi di comunicazione sociale che non tengono conto dei valori di tutta la persona.

 

La Povertà evangelica

"Gesù li inviò dopo averli così istruiti:

...gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date.

Non procuratevi oro né argento,

né moneta di rame nelle vostre cinture,

né bisaccia da viaggio, né due tuniche, né sandali,

né bastone perché l'operaio ha diritto al suo nutrimento"

(Mt.10,5. 8-10)

 

Il consiglio evangelico della povertà, ad imitazione di Cristo, che ricco com’era si fece povero per noi, oltre ad una vita realmente e spiritualmente povera che bisogna vivere con diligente sobrietà ed aliena dalle ricchezze terrene, implica la dipendenza e la limitazione dell’uso e della disponibiltà dei beni, secondi il diritto peculiare di ciascun istituto.

(C.J.C. Can. 600)

 

La povertà è l’affermazione della nostra verità di creature. Ognuno di noi è “una creatura originata dal nulla”; non possiede né il proprio essere, né quanto gli viene aggiunto, perché tutto gli è dato da Dio.

La novità portata da Gesù Cristo è costituita dal fatto che la sua è la povertà di un Dio che ha assunto la natura umana: da Bethlem alla Croce, Gesù procede su una strada di abbassamento e di svuotamento totale che lo fa essere “il Povero” per eccellenza, in senso materiale e spirituale (cfr Fil.2,5-8).

Anche San Francesco ha voluto "seguire la vita e la povertà dell'Altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua Santissima Madre e perseverare in essa sino alla fine" (F.F. Scritti a S.Chiara140).

Con questa consapevolezza abbracciamo volontariamente la povertà evangelica perché amiamo Cristo e, poiché l’amore a Cristo è esigenza di conformità, sentiamo il bisogno di imitare Lui che, incarnandosi si è svuotato della Sua maestà e si è fatto povero per arricchirci con la Sua povertà (P.C. 13).

 

La povertà sorge non solo dalla volontà di seguire Gesù povero, ma soprattutto, sentendoci amate da Lui e sapendo che Lui è "l'unico vero bene", questa reputiamo essere ricchezza e grande gioia interiore da rifiutare ogni avidità e ogni possesso terreno, donandoci totalmente a Dio e al prossimo.

Con la povertà collochiamo tutta la nostra fiducia nella provvidenza di un

Padre attento ai nostri bisogni, abbandoniamo il regime delle “sicurezze terrene” per entrare nella prospettiva della speranza e affermare la nostra appartenenza al Regno, acquistando così la vera libertà dei figli di Dio. Questa libertà ci conduce alla libera espropriazione di noi stessi: “…quello che poteva essere per me un guadagno l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo” (Fil. 3,7).

Con S. Chiara potremo esclamare: “O povertà beata! A chi t’ama e t’abbraccia, procuri ricchezze eterne. O povertà santa! A quanti ti possiedono e desiderano, Dio promette il Regno dei Cieli ed offre in modo infallibile eterna gloria e vita beata!” (F.F. Prima lettera, 2864 scritti di S.Chiara).

 

Chi ama veramente la povertà non solo rifiuta di possedere, ma si spoglia anche della volontà di potere, rinuncia a volere sempre aver ragione e a possedere criteri di giudizio sugli altri e si mette sempre in atteggiamento di ascolto e di accoglienza.

Chi si rende veramente povero si appoggia totalmente ed esclusivamente a Dio perché riconosce che l’unico vero valore assoluto è il Regno e riconosce che per ottenerlo è necessario liberarsi di tutto (cfr Mt. 13,44-46).

S. Francesco d'Assisi ci manifesta che è necessario rinunciare ai beni terreni e soprattutto tendere alla vera povertà dello spirito che consiste in:

- vincere se stessi;

- rinunciare alla propria volontà;

- rendere a Dio tutto quanto di buono si fa;

- distaccarsi dal proprio incarico;

- non turbarsi di nulla;

- ricercare le cose del cielo;

- vivere in letizia la propria indigenza.

Così la povertà è fonte di gioia, è liberazione dalle preoccupazioni del domani e consente di raggiungere agevolmente la vita eterna; è aspirazione dell’anima al possesso di Dio, vera ed unica ricchezza; è bisogno di purezza d’amore, di semplicità e di umiltà di cuore; è un’esigenza di amare Dio “con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta se stessa”.

Perciò la povertà è beatitudine: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli” (Mt. 5,3).

 

Nello spirito di questa povertà a cui ci ha chiamate il Signore con la parola e con l’esempio - “…gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” - possiamo manifestare ancor meglio agli altri il “Dio ricco di Misericordia”.

Non possiamo essere alla sequela di Cristo povero senza sentire il grido che si leva da tanta miseria presente nel mondo, perciò la nostra povertà ci deve spingere irresistibilmente verso i poveri, per essere amore e misericordia verso questi fratelli bisognosi (cfr D.i.M. Cap. VII,14).

Vogliamo amare i poveri come Francesco che in ogni povero vedeva il Figlio della Madonna povera e portava nel cuore Colui che Lei aveva portato nudo tra le braccia (F.F. - Celano 670-83).

 

La povertà evangelica è anche la virtù della condivisione che ci spinge e ci muove interiormente a mettere in comune i beni materiali e spirituali non per costrizione, ma per amore, perché l’abbondanza degli uni supplisca all’indigenza degli altri (C.C.C. 2833).

Per vivere la nostra vita comunitaria nella povertà occorre condividere tra noi tutte le cose, anche quelle che sono date singolarmente:“Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune” (At. 2,44).

Viviamo tra noi la comunione dei beni nella carità fraterna e avremo un amore sincero per i poveri, per i piccoli e gli ultimi; così la nostra comunità diventa segno della presenza del Regno e ne rivela la misericordia..

 

Mettiamo tra i beni comuni il frutto del nostro lavoro. Sono da considerarsi acquisiti per la comunità: retribuzioni, pensioni o sussidi, doni o offerte e ci impegnamo a non usare e a non disporre di qualsiasi bene in maniera autonoma e senza il permesso della Responsabile.

Le spese non necessarie e l'uso egoistico dei beni dovuti alla comunità sono un'ingiustizia nei confronti delle sorelle e dei poveri, è però ammesso l'uso dei mezzi necessari per la crescita personale e comunitaria, in ordine ad un servizio più qualificato inerente alle nostre finalità.

La Responsabile, in quanto tale, ha il compito di aver cura e provvedere alle necessità delle sorelle e di permettere l'uso del denaro per le opere di apostolato e di carità.

Ogni sorella, in forza del voto, non vada senza il dovuto permesso a chiedere denaro o altre cose agli amici, ai genitori e ai parenti. Qualunque dono si riceva, in oggetti o in denaro, lo si accetti come segno della Provvidenza, ma nessuno se ne appropri all'insaputa della Responsabile.

Perché niente possa ostacolare la nostra disponibilità al servizio del Regno, non possiamo amministrare né disporre dell'uso ed usufrutto degli eventuali beni patrimoniali, pur conservandone la proprietà e la capacità di riceverne altri per legittima eredità da parenti. Quando questo avvenisse, la sorella, per vendere i propri beni o rinunciarvi, deve ottenere il permesso della Responsabile con il suo Consiglio .

 

Conduciamo una vita semplice e siamo attente a non confondere il necessario con il superfluo e a non soccombere alla sfida della società dei consumi. Nell'uso di tutte le cose ci si ricordi sempre che appartengono alla comunità; non trascuriamole ed evitiamo sia l'avarizia che lo spreco. Il distacco dalle cose non deve spingere al disinteresse e "al lasciar perdere", ma deve responsabilizzare ogni sorella nella gestione di qualsiasi cosa.

Avremo cura della nostra casa, mantenendola pulita, ordinata e ornata con decoro e sobrietà, ma senza nulla di ricercato. Per spirito di povertà ricordiamoci di fare un uso adeguato di qualsiasi mezzo di comunicazione.

 

Obbedienza filiale

" Mio cibo è fare la volontà di Colui che

mi ha mandato a compiere la sua opera"

(Gv.4,34)

 

Il consiglio evangelico dell’ubbidienza, assunto con spirito di fede e di amore seguendo Cristo ubbidiente fino alla morte, obbliga a sottomettere la volontà ai legittimi Superiori che, quando comandano secondo le loro peculiari costituzioni, rappresentano Dio.

(C.J.C. Can. 601)

 

Dio ci chiama a vivere, per un particolare dono di fede, l'atteggiamento fondamentale della vita di Cristo che, nella più profonda obbedienza ha realizzato il piano della salvezza. Gesù stesso é l'Obbediente per eccellenza, Egli adotta la forma del Servo, "spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo, ...facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil.2,7-8). Le ultime parole di Gesù sulla croce: “Tutto è compiuto” (Gv. 19,30) attestano che l’obbedienza è stato il motivo ispiratore di tutta la sua vita. Lui stesso ha così spiegato lo scopo della propria missione: “Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di Colui che mi ha mandato” (Gv. 6,38).

L’obbedienza non diminuisce la dignità della persona, ma attua il pieno sviluppo di noi stesse, in quanto ci aiuta a crescere nella libertà dei figli di Dio e ad occupare il nostro posto nel piano della salvezza (P.C. 14).

 

Obbediamo al Padre perché, grazie a questo nuovo spirito di amore che ha fatto scendere in noi, ci ha reso capaci di chiamarlo con il più affettuoso dei nomi: “Abbà, Padre”.

Obbediamo al Figlio, perché fonte di salvezza per tutti coloro che, amandolo, osservano i suoi comandamenti: “Egli, pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì e reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb. 5,8-9).

Obbediamo allo Spirito Santo che, tramite la sua guida, ci plasma e ci configura al Cristo conducendoci alla piena verità e alla vera fecondità.

Con il voto di obbedienza scegliamo la strada più sicura per giungere ad una profonda comunione con la volontà salvifica del Padre.

 

Con il voto di obbedienza offriamo liberamente a Dio la nostra volontà, quale sacrificio di noi stesse, per essere maggiormente unite alla volontà salvifica di Dio (P.C. 14).

L’obbedienza per noi, come per Cristo, costituisce un autentico sacrificio, l’offerta più gradita a Dio, perché comporta una totale sottomissione a Lui nel coinvolgimento della nostra intelligenza, della nostra volontà e libertà.

Il nostro stile di vita deve essere come quello di Gesù: “Il mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato a compiere la sua opera” (Gv. 4,34); deve essere docile come quello di Maria: “Eccomi, sono la serva del Signore” (Lc. 1,38) anche quando ne sperimentiamo il peso, anche se non sempre la comprendiamo, anche quando non riusciamo a vederla.

Sicure che Dio è Padre e vuole realizzare in noi il suo disegno d’amore, obbediamo a Lui con spirito filiale e non servile: “Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv. 15,15).

 

L’obbedienza è il massimo grado di fede e di amore che ci fa realizzare, con un rapporto profondo tra noi e Dio, la sua volontà che si esprime attraverso la Chiesa.

Con questo spirito ci sottomettiamo alla volontà di Dio attraverso la mediazione dei Superiori mettendo a disposizione le energie della mente e della volontà, come pure i doni di natura e di grazia, nell’esecuzione degli ordini e nel compimento degli uffici assegnati, coscienti di dare il nostro contributo all’edificazione del Corpo di Cristo secondo il piano di Dio” (P.C. 14).

Le disposizioni della Chiesa trovano la mediazione nel ministero dei superiori: la Responsabile esprime la volontà di Dio e della Chiesa, perciò colei che obbedisce, si sottomette alla volontà di Dio senza rischio di sbagliare. A sua volta, la Responsabile, consapevole del proprio ministero, lo eserciti con spirito di carità e di umile servizio (cfr I Pt. 5,3).

Per questo ci impegnamo ad osservare fedelmente questo Statuto accogliendone con fede ed umiltà le direttive , instaurando con la Responsabile un dialogo aperto e sereno per vivere l’obbedienza in modo attivo e responsabile e costruire insieme il bene della persona e della Comunità.

 

Ci impegnamo in una forma quotidiana di obbedienza nell’aiutarci reciprocamente, per la costruzione di una comunione fraterna. Troveremo la crescita di santità, la libertà di un cuore pacificato, la gioia profonda e matura di un cuore abbandonato (F.F. - Regola non bollata Cap. V, 20).

A realizzare questa obbedienza ci aiuterà l’ascolto attento della Parola di Dio, la docilità all’azione dello Spirito, la voce del Magistero della Chiesa, gli avvenimenti e le situazioni della vita, la preghiera, i momenti di verifica comunitaria, gli incontri personali con la Responsabile.

Collaborando generosamente ad attuare l'obbedienza, ciascuna secondo il proprio ruolo, fa propria la missione apostolica della nostra Associazione.

 

Come Francesco e Chiara vogliamo camminare sulla via della perfetta obbedienza, vivendola con impegno, libertà e responsabilità.

Perciò edificate dal loro esempio ci ricordiamo che:

- abbiamo rinunciato alla nostra volontà per amore di Dio;

- obbediamo per amore e non per timore;

- ci sentiamo libere di manifestare le nostre necessità spirituali con confidenza alla propria Responsabile;

- obbediamo non formalmente, ma con intelligenza e amore;

- manifestiamo con semplicità le difficoltà che si possono incontrare, pur mantenendo un atteggiamento di docilità e di disponibilità;

- siamo disposte ad obbedire nell’esercizio di un comando anche quando

ognuna di noi vedesse cose migliori di quello che i superiori comandano;

- siamo responsabili dell’andamento della comunità;

- abbiamo cura delle sorelle inferme;

- correggiamo e comprendiamo le sorelle che sbagliano.

(F.F. - Regola di S. Chiara Cap. X,2807-2810 e Testamento 59,70 ).

 

Anche la Responsabile si senta serva e madre delle sorelle e si ricordi che la comunità le è stata affidata da Dio, perciò sia libera da preferenze, abbia premura delle deboli, sia fedele alla vita comune, consigli e corregga con umiltà e carità le sorelle; sia moderata nel comando, ammirevole nella comprensione, discreta nel tacere, assennata nel parlare.

Nell'esercizio dell'obbedienza vogliamo avere presenti le parole di San Francesco che dice: "Abbandona tutto quello che possiede e perde il suo corpo e la sua anima, l’uomo che totalmente si affida all’obbedienza nelle mani del superiore; e qualunque cosa fa o dice e che egli stesso sa che non è contro la volontà di Lui, purché sia bene quello che fa, è vera obbedienza" (F.F. - Regola ed Esortazioni 148).